Altreacque

La determinazione poetica di Antonella Doria

Le coincidenze, che, in quanto tali, non sono infine mai del tutto accidentali; le analogie anche remote, rimangono, prima di ogni valutazione critica, al primo contatto, l’immancabile chiave di lettura della poesia. La parola, non appena letta, subito mette in moto i sensi trascinandoli nel flusso di quel poema interminabile che sottende alla nostra naturale esigenza di verità sanguigne, ancor libere – e perciò vitalissime, terrigne, acquee – dalle vincolanti e non sempre plausibili logiche della prassi, anche letteraria. Antonella Doria è poetessa siciliana, quanto basta per considerarla figlia della Magna Grecia; tuttavia pur nata a Palermo si è formata, per amori profondi e per studi a Siracusa. E suppergiù alcuni versi (ma, come si sa, non sono i soli con questa eco) del siracusano Teocrito, suonano, tradotti, per quanto traducibili, così: Riposa il mare. I venti dormono/in attesa. Ma non tace/la pena del mio cuore./Ardo tutta per chi/mi ha rapita senza prendermi. Una delle strofe di Lilith, la prima parte di questa raccolta, canta: L’acqua è il mio elemento/Ora canna di palude annego nel dolore/di radici vaganti/ Dalla primadimora mi hai sospinta/allontanata dalla tua ombra tonda/dalla liquida luce del tuo ventre/ verso altreacque altri mondi/ La tua immagine assenza d’immagine/ Madre assenza-essenza di Madre. Come per l’Idillio II di Teocrito (anche se là c’è il pretesto di un racconto tragicomico, la maga abbandonata dall’amante, ma tuttavia metaforicamente aperto al desiderio prolifico e all’esaltazione della forza femminile e della sua solitaria, indipendente volontà dominatrice), Lilith (i cui versi, lo potete vedere, si dispongono sulla pagina lapidariamente, quasi a istituzionalizzare la pagana, eternale, memoria del mito sempre presente, scolpito, incancellabile) traccia la vicenda di un amore panico non facilmente conquistabile. Di una palingenesi olistica, eppur carnale, che solo l’astuzia e la tenacia di una donna (Lasciai correre parole alte sull’acqua… “Seppi che ti avrei ritrovata…”) possono strappare alla Dèa imprendibile forzaviva ‘che dissoda la terra e genera e crea’. E se l’impresa è temeraria, la conquista, per quella risoluta forza femminile, nel cui Ventre la solitudine è ricchezza, non può essere che profeticamente predestinata. Per Lilith: E ritornò il Silenzio/ La Luna rischiarò le mie notti/ …/ L’acqua è il mio elemento/ Mia primadimora di sogno di vita di poesia. Così come per la protagonista dell’Idillio teocriteo, infine, la Dèa gira decisa i suoi cavalli verso l’oceano… Salute a te, Selene,/ dallo sguardo fulgente; salute stelle,/ che seguite il carro della notte/ nel confortevole sogno. E l’acqua è lo spazio mobile ma silente della comunione (e della maternità individuale e cosmica): tanto che Siracusa stessa, come tutti sanno, si erge intorno a una fonte nata dal connubio tra la ninfa Aretusa e il fiume Alfeo. La ninfa fuggi… ma per farsi raggiungere! Leggete quella cantabile e forte poesia dialettale: nun mi tuccari, sempi ti ricia/ nun mi tuccari, c’addumu comu/ nenti, ca m’addiventu/ pruvuli ’nto focu… E comunque la femminilità dominante è anche oltre il mito, nella storia, una misura di quella terra dell’isola Ortigia immersa nelle acque, affidata nel secolo XIV per fedeltà aragonese alla signoria privilegiata ed ereditaria di tutte le regine di Sicilia. La ‘sovranità’ femminile, come destino naturale, è il carnale leitmotiv della nostra raccolta.

Si rinnova, oggi, nella protervia di questa femminile poesia (c’è, c’è, nei fatti, una forte poesia femminile! Checché se ne pensi!) il valore maternale dell’appartenenza: ‘Madre assenza/essenza di Madre’. Ma la stessa Lilith propone esplicitamente (prima ancora che nasca l’ambigua magia della mobile, fluente corporeità delle acque): Voglio arare la miaterra/ da feconda Nefèle disertata/ dissodarla… Ma non è ancora il proposito del siracusano Teocrito? Che, talvolta per voce femminile, trova in una complessa visione bucolica “un sentimento della vita e della natura… di volta in volta realistico e immaginario, concreto e incantato, immediato e virtuosisticamente raffinato” (cfr. V. Guarracino in “Lirici Greci”, Milano 1991)? E quella terra da arare, così nella nostra poetessa, come nella narrazione teocrate, non è la propria individualità volitiva, conoscitiva e perciò fisica? In maniera anche astuta dominatrice della artificiosa signoria maschile? Non è una questione ‘femminista’, bensì un progetto femminile, e perciò fecondo, prolificante. Volto al rinnovamento di una specie decaduta. Si leggano, per esempio, le poesie: …/ e lo scoglio tuonò burrasca/ …, con quel finale di belluinità trattenuta (sicurezza e determinazione): ma… Lilith-prudente gli artigli/ rattenne/ …; o ancora la dismisura quasi demiurgica, la volontà di una dèa in sale sparso/ sulla miaterra nulla / …, che conclude senza remore: Tempo di guarire di fiorire/ danzare/ ritorno Fuoco Terra profonda.

La visione dialettica tra il mito e la incantata quotidianità si ritrova in questa raccolta d’esordio (tuttavia elaborata da lungo tempo) di Antonella Doria, nei due capitoli successivi, Legàmi e Luoghi. Addirittura si introduce nella poesia ‘più vicina’, in senso alto anche più occasionale (in cui il mito si incarna in un …giunco…un solco…in stanze… in guanciali…internet e dèi che diventano, nella volgarità del tempo presente, Dio-r[!]), la corposa ‘violenza’ del dialetto, che è una vera e propria lingua terrigna, aspra e carnalmente penetrante come i profumi dell’isola mediterranea, accompagnata dal divertimento non ingenuo di una odorosa e pungente ironia, per l’appunto (lungo tutta la raccolta lievemente accennata, ma non meno giudiziale). I Legàmi con la propria terra diventano stretti, concreti, prammatici. Tuttavia, quei legàmi, quando si spazializzano in Luoghi, lungi da ogni facile maniera descrittiva o banalmente paesaggistica – grande merito per una poesia in qualche modo ‘meridionalistica’, ancorché dalle valenze universali -, si interiorizzano, vorrei dire biologicamente, dando vita sovente a una pura astrazione delle passioni. La solitudine è tormentosa, ma la forza delle geometrie la inquadra, la modula e, come abbiamo visto altrove, ne fa una ricchezza. Di straordinaria misura quello sguardo di sbieco al guanciale in spazi in angolo di punta; e quel pur memoriale e nostalgico trionfo di umori essenze nei lunghi corridoi stanze in fuga.

La stretta coerenza formale, sulla pagina si esprime innanzitutto in una sapiente visualità che si articola – sensibilizzando ritmicamente e talvolta nervosamente gli eventi – tra pieni e vuoti; parole fluenti, ansiose, susseguenti in compatte fusioni (vocalizzazioni chiuse, piuttosto che neologismi composti), o, di contro, silenzi, pause lunghe negli spazi reiterati, anche all’interno dei versi, in dilatate spezzature grafiche. Questa procedura visiva favorisce ovviamente la paratassi e l’ellissi. Con qualche concentrazione epigrammatica. Come ho già fatto notare, poi, la prima parte di Lilith, che è l’incipit programmatico (con quella significativa e forte affermazione, nota dominante sull’intero arco della raccolta: Voglio arare la miaterra), svolgendosi in una figuratività lapidaria, marchia questa vicenda poetica nell’insegna araldica della risolutezza, psicologica (ancorché sovente tormentata e tormentante) e scritturale.

Gio Ferri

Giugno 1996

A L T R E A C Q U E

a Davide e Alice
dolci complici di questa
voce. e

a “Voi dal mio animo non mai lontani

Voi tutti al dubbio sottratti saluto,
bocche di nuovo dischiuse, che un tempo
sapeste il senso d’essere muti.”

Rainer M. Rilke

L I L I T H

Voglio arare la miaterra
da feconda Neféle disertata
dissodarla
farne Palma serico Mantello
ché Orfeo
ricopra
il suo rimpianto
ché aureo vello e
lieve amata
più non andrà cercando
mentre che il tempo danza
lento il suo canto

*

L’acqua è il mio elemento
Mi suscitò dal flusso dell’onda il tuo sospiro
di Dèa che lieve increspava l’immotaluce
In essa s’immergeva scivolava per dare e avere
Vita il tuo sorrisoargento che riluce
a mormoranti fronde nei canneti

L’acqua è il mio elemento
Al tuo volto rinvenni che fra le canne
si specchia e del greto sull’onda risplende
Riflesso di quest’onda al fondo mi ritrovo
ti ritrovo Luna

Nel tuo silenzio con tremoredesiderio aspetto
aspetto il tempo che si allunga
si fa stagno specchio che si frange e muta
Accade

L’acqua è il mio elemento
Ora canna di palude annego nel dolore
di radici vaganti
Dalla primadimora mi hai sospinta
allontanata dalla tua ombratonda
dalla liquida luce del tuo ventre
verso altreacque altri mondi
la tuaimmagine assenza d’immagine
Madre assenza essenza di Madre

Il Silenzio è infranto
Lasciai correre parole alte sull’acqua
La miaombra cercò la tuaombra per territori e mari
seguendo sponde contorni di tue sembianze
di tue orme tracce

Mentre il Tempo si allungava nei pallidi spazi
il tuo ricordo cullava i miei pensieri
Sentii il profumo della tua pelle
il calore sicuro del tuo corpo
“Seppi che ti avrei ritrovata”

*

L’occhio luminoso della civetta saggia
che vede la notte oltre
La Morte e la Veglia
mi riportò orizzonti acque profonde
Trasparenze dove non c’è inganno
in quel Ventre dove solitudine è ricchezza
nel Cerchio dove tutto è colore che muta e ritorna
L’acqua è il mio elemento

E ritornò il Silenzio
La Luna rischiarò le mie notti
Incantata sorridente mi rispecchiai nel tuo volto
di Dèa imprendibile forzaviva
che dissodi la terra e generi e crei
Seppi di appartenere a Te
Démetra sei e Kore
Sei Lilith e Melusina
L’acqua è il mio elemento
Mia primadimora di sogno di vita di poesia

II.


e lo scoglio tuonò burrasca
da i piedi fuggì
rilucente ghiaia lì persi
iride squame
di serpente di foca
lì scordai calda pelle
ma… Lilith-prudente gli artigli
rattenne

III.

rapida arpia mano fugò
fuoco da sciamano ventre
terra insanguinata. Riemersa
in anni in cerca in travaglio
invano cercò nel gelo di crepacci
orme erano sulla neve fresca
(affannosa dissolvenza…)
al riparo l’anima celata
nel chiostro d’un santuario selva
divampa

IV.


e sortilegio mi ghermisce penetra
mi attraversa
trascorre il mioelemento
e culla

nave che incurva sulla sua scia
d’oltremare straripa
e grida stridula
il suo lamento

V.


è come seguire nude orme
umide di selvose essenze
di sensi greti traversare
profondi incontro a flussi
riflussi di marea di un’onda

in cerchi di balèno tornare
ove nacque iride
di molecole spirale umori
di pozzanghere di mare

VI.

sale sparso
sulla miaterra nulla
poteva nascere sgorgare
anima cercava anima
:ho lasciato sogni lungo
la strada ho messo porta
dove porta non c’era
varcato spazi aperto
vie nel tempo
Tempo di andare (l’Oltre)
ringhiare ululare
Tempo di guarire di fiorire
danzare
ritorno Fuoco Terra profonda

VII.


e si disvela l’anima
che avviluppata
era
all’origine del vuoto e
si rigenera Fuoco
l’ignoto inganno ri-
cercando
a spezzare il Tempo
padrone della pupa che
l’ingabbia

VIII.

fuoco di pietra
in segni di oscuro
chiostro arde a balzi levantini
oltremare scosceso

chiarafonte il raggio ferisce
brève piega
entrambe le ginocchia
stimmate profonde pietra

d’acutalancia colpita segnano
la Fonte zampilla ancora
sanguevivo

IX


si dipana gomitolo di sabbia
desiderio rapito
nel ventreorgiastico d’oceano
remoto

nasce dissipa acquosi
orgasmi sfinisce altrove
altreorme
straripa

X.

di nuova luce vaga
ala rinasce ancóra filtra
fra sogni a mia dimora

da nero imo dipana pesante
matassa di fili intreccia
a scale una collana
(lunghetrecce di dèa lontana)

salirò a fatica
tue rotondità a disvelare rara
sfera d’opalina ai segni
negata di vento eco di segnale
segreto remotoseme
graffito ambiguo di dèassente
evanescente vagabonda
Luna

XI.


e l’anima ( disse la mia Dèa )
non spenderla
appresso alla falsamoneta
del Tempo
in trappole di parole
in-corsa
(spaccio inverecondo di
cyborgputtane)
soffocata al centimetro
di pelle rapita (al Dio-r)

XII.


è come farsi aquila
esserci
fino all’ultimapiuma
oltre il silenzio la solitudine
dei picchi la puralinfa
di cristalli infiore

L E G Ă M I


“e per quanto può esserci di sogno sopra il dirupo
appesa a una corda resto e non è sicuro”

Jolanda Insana

1.

‘nnaca dda naca d’organza bianca
chiànci nica chiànci puru mmrazza
tu amurusa mi teni sutt’a l’ali
e m’arricògghi sonnu ‘ntra lu mantu
e chianu chianu
dintra di ‘na nùvula lèggia
mi n’acchianu
Cantavi cunti di n’ìsula luntana canti
cuntavi pi chista mia vicina
quannu ca dòrmi cca allatu a mia
si’ tu me matri
eppuru a mia figghia mi pari
Tu mi ‘nnacavi e mi tinevi mmrazza
e litanii nuveni a l’ànima cantavi
pi ninna-nanna
ìu ti sintìa… sempri chiù luntana
dintra dda naca d’organza bianca…

2.

lui… il dolce era e
come tale si poteva avere
c’era una volta solamente
a settimana

idda… (picciridduzza nica)
-sangu miu –
l’aspittàva… ma aveva il
cuoringola e il dolce
(sapìa?) avrebbe potuto
strozzarla

3.

non andare
fuori da questosogno (restu sula)

le gambe viavanno da sole
(nuddu m’aiùta a ‘ttaccalli

‘sta testa sbàttu ô muru: màrciu
feli nesci fora) Ora

paradisi vedono (occhiluntani
cca… di milli riavuli)

fiammesconvolte m’avvinghiano
con legàmi (di Fami)

4.

di rossargilla pasta
algadimare e ( rrina unna )

aridelabbra amare
a nostalgierapaci ( amuri iùti
a mali sali )

claustrofobìe dell’anima
:aquila che chiama a la battigia
bianca ( unni abbruҫia
u mari )

5.

campidivento
(strazzàti) sponde insegue
e fossi e strade ( unni
sterpi lassài sicchi e
nìuri àrburi arsi ) dove

alla rossaterra tornano
accecate (a lu miríu ) lucertole
squamose
la bifida lingua…
( ora tuttu aggigghiò )

(ma)donne mie
han tolto scialli(níuri)
e… Vento sfuria belli
ribelli

6.

tracciati obbligati
tra rare macchie
vanno se vuoi all’infinito

io filo… ( saddíu
‘nfra orti-bonsaj e catapecchi
vecchi l’anima agghimmàta
‘ntra pièghi di lamèri arrugginíti )

… e ancóra sale unpo’
per la campagna sottile
nebbiacida e tra Silos ristagna

7.


anni e anni in questapiana
bassa dove naviglio e… Mare
(amàri è n’àutra cosa )
dove sole non passa dove
onda non osa e si tra-
lascia all’aspracarezza
della brina fra rare vele e
amori (rrari )

8.

nun mi tuccàri, sempri ti ricìa
nun mi tuccàri c’addumu comu
nenti, ca m’addiventu
prùvuli ‘nto focu, e svampu e
(nun è ccosa) cchiù nun
m’arricàmpu

nun mi tuccàri, nun mi tuccàri
ti ricìa, pi chista frevi
ca sulu tu putevi sciògghiri
cuntannu a una a una l’avimmarìa
(a l’alalonga l’ali tu sanasti
cu chisti manu tua accussì santi)

nun mi tuccàri (pi na ‘ntìcchia), lassami
stari, c’attìzzi i riavuli di tutti
li me vini, di chista peddi tu
nnì fai tambùru, pallidu
trasparenti, comu chisti occhi tua
d’àncilu puttanèri

9.

forse per farne sangue
unpugno alla ragione (non
smettere dicercare altrove)
sarà pugnale romperà dentro
mareghiacciato per amaro
affilatoabbandono

10.


giunco
a questa riva
da un sole di gelo
di rovi ad aprire un
solco
seguire passo-passo un
rigagnolo ritorto a
vento
a fredde risaienebbiose
di putridemarcite corrotte
specchio
(si crepa
al soffio dell’aria lieve)

11.

non permorire
a fondanotte (se false
streghe sciamano a falsiamori
d’autostrade infuga fari
sommano gomme malodori
a sirene coscemadreperla
: covano umidoserpe come creatura)
scrivo
come creatura d’acqua vorrei
fluisse Verso balsamo
di betulla unguento
mare più spesso neroceano
di risacca a riva incrina
schiuma scema
aridastatua di sale
arena

12.

lei… lingua sciolta lamardita
calze a rete (di serpente)
soffre (forse) vogliainfinita
di sete l’anima si spoglia

lei… al buio
di nudierranti randagio
rossarosa ai cani (ultima
aurora) ròsa si scolora

lei… monade vaga verso
saddensa si spezza
dura oltre il silenzio
lunaremota si fran – tu -ma

13.

tradimentooo – gridai –
tra-di-me n o mi parve…

lui non colse
: sguardo attento
docile seguiva…
……… spondesinuose
bianco candore di ogni
suomovimento (serpe) dilei

godeva e non
se ne avve-de-va

14.

notte solamente
nonàlita unfiato
su balconi di spigolo smozzo
solamente vampiri
questanottechiara vanno
azonzo amigliaia agàra
io piediscalzi incucina
luce sbiecotagliente cosce
gelo all’aridofrigo
roventi tempie gela
biancobicchiere di ghiaccio
e l’afadagosto stempia

15.

non so cosa (mi)prende – al
mercato – un po’ di frutta o di
ricotta? olivenere al forno e la lattuga
riccia o cottoparma e la cipolla?
ma…
qual cosa… qui m’impiccia… e non
vorrei… quasi… andare…
nella bolgia
di malapigrizia che
massale

16.

giunta all’ asse prese il ferro
lucido dastiro rovente
era il suogodimento da sempre
:su e giù sulle pieghe con rabbia-
-decoro il ‘focolare’ non sappia
quanto queste catene costano (?)

(domanda-gancio per Cyborg-assassino
dal 2100 giunta ad uccidere l’Angelo)

17.

a volte gatta
felinardita
‘d’ardimentose imprese’ Angelica-
-eroina: mi liscio i baffi
il manto e le ferite lecco
boccaditana ciliegiarossa
caccio giù
passi altiefèri questa
blùMalinconia
noiosa

18.


e ancòra scende raraluna
evanescenti affiorano
lampare
mormora caldoalito alte
foglie d’eucalipto d’incenso
assorto muove altrove
un gelsomino
lucincerte ancòra
al soffitto nero e
l’alta volta tuttotiene

: il BUCONERO… non si vede

19.

ultimi legàmi di giorno in giorno
rimando della vita
prima non era mai successo
tutto era in eccesso prima

notteacida (perdìo) festadel-
l’Unità con Mauro(morto)
… giù nelwhisky con ironia
… non era mai successo prima
tutto era in eccesso prima

ora ho ancòra un distico
per contratto

20.

s’incupì il mare al crepuscolo
quella sera per il rullìo
d’un motore che a tamburo
ferì l’immotovelo

luci accorsero nell’improvviso
cielo di fari nella notte
si ferì la ghiaia ma
non cadde unasola stella

21.

fa la ninna fa la nanna
figghia bbedda di la mamma

di la mamma e di la nonna
sta figghiuzza fa chi ddorma

dormi dormi piccinnina
ca la notti s’avvicina

ninna-e ninna-o
sta piccidda a chi la do

a lu re e a la regina
crisci crisci piccinnina

nicaredda di la mamma
fa la ninna fa la nanna

fa la ninna ninna-o
sta figghiuzza fa a vovò

ninna-e ninna-o
figghia mia s’addormentò

bbedda figghia di la mamma
fa la ninna fa la nanna…

(Filastrocca popolare siciliana)

L U O G H I

……….
<>

Giancarlo Majorino

Figlia nata senza Madre
Forse è anche senza Mani
Come farà a mangiar
Le more
(all’ombra dei fanciulli
In fiore) mi viene in mente…
Ma non se ne fa niente
Nella mia Mente
Il Niente non è niente
A volte mente su varie
Stanze fugge di stanza
In stanza io me ne
Accorgo sempre se
Ciancia a vanvera
Al fondo in fondo c’è sempre
Un’altra stanza

in Acuti Angoli
penetrato corroso
rapido
si nasconde
il tempo a gambe
larghe

da Spigoli Puntigli
d’un teorema di sopravvivenza
testardo Solitario
compasso al centro
della terra confitto

Agguàto Antico
un acutodolore di
libertà tradita
in un tempo sfinito ancòra
forte

spazi in angolo di punta
brama filigrana-mente
fila la traccia oscura
di suaragnatela trama

nuova tela limiti
di mondi in chiuso cerchio
spazia l’angolobianco
avvinto di guanciale

-al cader della notte –
mentre la tèrmite trama…

lunghi corridoi stanze in fuga
da molte porte socchiusi sguardirapidi
bambine rapite donne passano
lunghi passi evanescenti
stanzeodore trascorsi svaporano
umori essenze
tuberosa
trionfanti nutrono corridoi d’ansia
e frange di fallo
respiri
nel fondo più fondo corridoio
di fuga

gettàti al mondo senza piedi
e mani
solo occhi grandi (per
guardare bambina mia )
del presente espropriati rischiamo
(un patto per la vita)
profonda carne fatta
ascolto viene ai
verdicampi di libere
molecole: lingua
e sangue e guerra
a guerreggiare
(piano suona le canne
il vento e cieca Psiche
conduce all’aureovello)

Fonèmi. Fosfèni.
In libertà. Traditi. Rapiti.
Urlanti. A chi?
Da chi? Vanno. Vengono.
Forse di tropico mare
Vestali. Are di dèe lontane
Arare creare generare Vita
Tempesta o Festa Trionfo
Della Morte Urlante. Rotolano idee
Senza testa. E
Vanno. Vengono.

A ruota libera
Di corsa quasi per caso
Sotto il tavolo del Bar
Non hai più naso
S’impenna il Cavallo da chimera
C’è già chi aspetta l’asso
Romba il Motore
L’osso del collo fuorifase
Ignota culla manìa i cervelli
Stupefacente luogo del Mattino
Siringhe Lise
Altri di droga Spenti
Non dà Requie il perdutoparadiso
Artificiale è Altrove

naviga. Fantasmi
dei mari dell’onda al picco
internet danzano: Supremi
Spazi remoti apparenze
fende furti forse
carnali abissi
rimanda minacciosi immateriali
presenze
:spasmi osceni
in oceanideliri annegata
divora vorace
la Mente

Questa sera la cena langue
Solo le fragole sono rosse
E non è sangue che sgomenta
Solamente dolore nella testa marcio
e nero Stromboli tramonta sull’acqua
Dietro il Sole tranquillo
Pini marittimi coprono il cielo
Dormono le sdraio al fresco stese
Forse gli spaghetti sono ormai scotti
(i Cecchini uccidono la notte)

quali alieni luoghi
obliati tempi
rimandano acutassenza
sponde di un’eco
deformata
da cui attendo
……
riflessi…
voci…

.

“Questa è la mia lettera al mondo
che non scrisse mai a me.”

Emily Dickinson

Annotazione

Due parole sull’uso del dialetto

È stato usato liberamente come lingua della memoria, voce dal profondo. Lingua madre, rimossa prima e tornata poi prepotentemente alla coscienza, in un lavoro di scavo ‘psico-archeologico’, di ‘discesa all’Ade’, di riconoscimento ed accettazione.
Si riporta qui di seguito la versione italiana di due dei testi più lunghi.

Legàmi n.1: culla la culla d’organza bianca / piangi piccola piangi pure in braccia / tu amorosa mi tieni sotto l’ali / e sonno m’accoglie dentro il tuo manto / e piano piano dentro una nuvola, leggèra / mi allontano / Cantavi storie di un’isola lontana, canti / narravi per questa mia vicina / quando tu dormi qua a me vicina / sei tu mia madre / eppure figlia a me sembravi / Tu mi cullavi e mi tenevi in braccia / e litanie novene a l’animma cantavi / per ninna-nanna / io ti sentivo… sempre più lontana / nella mia culla d’organza bianca.

Legàmi n.8: non mi toccare, sempre ti dicevo / non mi toccare m’accendo come / niente, divento / polvere nel fuoco, e mi perdo e / (non-è-cosa) più non / mi ritrovo // non mi toccare, non mi toccare / ti dicevo, per questa febbre / che solo tu potevi sciogliere / contando ad una ad una l’avemmaria / a la rondine ali tu sanasti / con quelle mani tue così sante // non mi toccare (solo per un po’), lasciami / stare, risvegli diavoli da tutte / le mie vene, di questa pelle tu / ne fai tambùro, pallido / trasparente, come questi occhi tuoi / d’angelo puttaniere.

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Lorem ipsum dolor sit amet, unum adhuc graece mea ad. Pri odio quas insolens ne, et mea quem deserunt. Vix ex deserunt torqu atos sea vide quo te summo nusqu.

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